Biciclette nei bunker antiaerei, quando pedalare salvava la vita

2022-09-10 07:49:50 By : Mr. Safer lifts

Gli antenati dei nostri bici-generatori vengono dai bunker della II Guerra mondiale, dove pedalare significava poter garantire la continuità dei sistemi di aerazione e ventilazione

Pedalare è sicuramente un modo ecologico di vivere, per altro sempre più diffuso nelle nostre città inquinate, ma c’è stato un recente passato nel quale spingere sui pedali era una vera necessità di sopravvivenza e significava non morire. È stato durante la seconda guerra mondiale, quando in alcuni bunker e ricoveri antiaerei vennero installate delle preziose “biciclette”. Il loro scopo era quello di garantire la continuità del funzionamento dei sistemi di aerazione e ventilazione dei locali sotterranei blindati – con l’immissione di ossigeno e l’espulsione dell’anidride carbonica – anche quando si fosse malauguratamente interrotta la fornitura di corrente elettrica (cosa che avveniva spesso durante i bombardamenti).

In condizioni normali, infatti, i sistemi di aerazione venivano azionati da un motore; ma in assenza di energia esterna si doveva sfruttare inevitabilmente la forza fisica delle persone che erano presenti in quel momento nel ricovero. Furono così approntati alcuni sistemi a “propulsione umana”, a loro modo “rinnovabili” seppure alimentati solo dall’adrenalina pura che veniva prodotta dalla paura. In alcuni casi si trattava di semplici manovelle da girare a mano, in altri di una sorta di “cyclette” singole o persino, nei locali con superficie più ampia, di tandem. Spesso questi ultimi venivano posizionati in coppia, per suddividere tra più persone lo sforzo necessario che avrebbe potuto essere anche prolungato.

Le “biciclette” dunque, tranne rare eccezioni, non erano collegate ad una dinamo per la produzione di corrente elettrica, ma servivano ad azionare il ventilatore che manteneva in movimento il flusso d’aria. In caso di black-out, infatti, era di maggiore importanza garantire la fornitura di ossigeno rispetto all’illuminazione (che poteva essere assicurata con alimentazione a batteria). I sistemi di aerazione per ricoveri e bunker con protezione antigas potevano essere realizzati in due modi: con rifornimento d’aria presa pura dall’esterno o resa tale con trattamenti fisico-chimici (“filtranti”); o con il ricircolo dell’aria presente nel ricovero con la sua depurazione e il supporto di bombole di ossigeno (“ermetici”).

In Italia sono stati riscoperti e documentati dai ricercatori del sito Bunkerdiroma.it, con la collaborazione di altri studiosi e associazioni di appassionati, una dozzina di sistemi di aerazione con “biciclette”. Di particolare interesse sono i due tandem presenti a Roma nel Bunker di Palazzo Uffici all’Eur, così come quelli sopravvissuti nei Rifugi antiaerei milanesi in via Antonio Tanzi (Ex Innocenti), Palazzo Diotti (“Torre delle Sirene”) e viale della Moscova. Altre bici in buono stato sono segnalate a Rovigo (Rifugio del Catasto) e Bolzano (Rifugio di piazza Matteotti). Completano la panoramica i sistemi di aerazione conservati a Torino e Verona (con bici in restauro); mentre restano solo labili tracce delle biciclette un tempo presenti a Genova, Gardone Riviera (BS) e Dalmine (BG).

La gran parte dei sistemi con “bicicletta” furono realizzati tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 dalla Società Anonima Bergomi di Milano, che li definiva nel suo catalogo come “elettroventilatori a pedaliere”. Sostanzialmente erano composti da un telaio con sellino e pedali, mentre il movimento veniva trasmesso con un moltiplicatore di velocità agli ingranaggi racchiusi in una custodia stagna insieme al ventilatore. Oltre alla parte ciclistica, i sistemi si completavano con tubazioni e deviatori per selezionare le diverse funzionalità. Vi erano, infine, i “flussimetri” per misurare (in metri cubi/ora) il livello di ricambio dell’aria e sapere quando era completo o se era il caso di rimettersi subito a pedalare.

di Lorenzo Grassi, curatore del sito www.bunkerdiroma.it

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