Come ordinare i vostri fumetti: guida estemporanea al disordine - Fumettologica

2022-09-10 07:48:40 By : Mr. Han Z

"Margini", una rubrica di Fumettologica a cura di Tonio Troiani. Ogni 15 giorni riflessioni sulla narrazione annotate tra le parti bianche di ogni pagina scritta e disegnata.

Ogni collezionista soffre, in qualche modo, di un disturbo ossessivo compulsivo che lo porta ad accumulare più del necessario. Se la forma in cui si presenta il disturbo non è acuta, è possibile – armandosi di sana pazienza – conviverci. Tuttavia, i lettori di fumetti spesso manifestano una tendenza al collezionismo che può acutizzarsi con l’età e, soprattutto, con la disponibilità economica. Allora, pile di spillati, di albi, di cartonati e intere collezioni di manga spuntano come funghi, dotate di una propria intelligenza occupano ogni spazio libero e cominciano ad infestare gli spazi più insoliti, reclamando a un certo punto però una sistemazione adeguata.

È questo il momento in cui iniziano i veri guai. Il collezionista o il semplice accumulatore seriale – un po’ come il sottoscritto, che non è riuscito mai a collezionare niente nella vita, ma solo ad accumulare quintali di carta – inizia a redigere un possibile ordine che tenga a bada il disordine. Ordinare, discernere, separare e catalogare è un’arte difficile, che rimanda all’altrettanto complesso e difficile compito di zittire la nostra mortalità e il caos che regna nell’esistenza. È un riflesso della nostra fragilità. 

Pertanto, ordinare librerie è un gesto esistenziale, con cui abbassiamo per un po’ l’assordante rumore di fondo del mondo. In realtà, alziamo il volume di queste interferenze e quando presi dallo sconforto ci lasciamo andare alle bestemmie e a un indolente borbottio che potrà richiamare qualcuno dalla stanza accanto. Allora, lo sguardo di compatimento che sentiremo calarci sulla nuca sarà una specie di richiamo alla realtà. Ma durerà il battito di ciglia. 

A un certo punto – complice un trasloco – mi sono trovato a dover sistemare oltre quaranta scatole di libri di varia natura, di cui una nutrita collezione di fumetti. Ho incominciato a capire e poi a stilare possibili sistemi di catalogazione ed esposizione: da quelli più funzionali a quelli più appaganti dal punto di vista estetico, cercando anche un possibile compromesso. Stremato, ho deciso per la soluzione più economica: la metodologia “alla cazzo di cane”. 

In realtà, il gioco aleatorio nasconde altro. In primo luogo, vi è un tentativo di depistaggio. Confondere le acque, spezzare la continuità dei dorsi, non rendere facilmente identificabile il paesaggio mentale del padrone della libreria. È difficile dimenticare l’imbarazzante momento dei collegamenti con politici, esperti e semplici opinionisti durante la lunga notte nera del lockdown: dietro l’esperto si potevano intravedere due o tre scaffali, spesso con libri accatastati alla rinfusa, talvolta riconoscibili, spesso anonimi – atti di convegno, annuari, pubblicazioni omaggiate, libri ereditati – che non facevano che definire il proprietario di quella libreria. Certo, non era raro vedere librerie sontuose, ordinate e tronfie. Ma anche là un certo rigore tradiva molto. Quindi, per disorientare gli ospiti ho volutamente evitato un ordine rigoroso e una certa continuità editoriale.

Ho preferito seguire il metodo del “buon vicino” creato da quel pazzo scatenato di Aby Warburg, secondo cui il libro di cui hai bisogno non è quello che stai cercando, ma quello che si trova a un passo di distanza. Lo storico dell’arte tedesco, fiorentino d’adozione, raccolse una quantità spropositata di testi dalla natura più varia e invece di prediligere sistemi di classificazione moderni legati ai modelli aritmetici e alfabetici, in linea con la nascente età della macchine, decise di creare una biblioteca-labirinto che suggerisse attraverso arditi e personali sistemi di sistemazione percorsi nuovi, inediti e coraggiosi. 

Il filosofo Ernst Cassirer – un rigoroso neo-kantiano tutto d’un pezzo – quando nel 1919 si trasferì ad Amburgo per insegnare nella nascente università della città anseatica, fu invitato a visitare la biblioteca Warburg. Lo studioso fu preso dalla sconcerto e scappò dalle stanze che raccoglievano la collezione per non impazzire. Quell’affestallamento caotico aveva creato una vertigine nel sistema di Cassirer. In realtà, il filosofo – sconfitta la sua iniziale diffidenza – divenne un frequentatore abituale della biblioteca, e quell’apparente disordine fu l’impulso fondamentale per la creazione della sua opera più importante: i tre poderosi volumi della Filosofia delle forme simboliche. 

In Come ordinare una biblioteca, Roberto Calasso fornisce un ottimo consiglio: evitare l’ordine alfabetico – in quanto letale se applicato sistematicamente – e prediligere il buon vicinato o la creazione di «piccoli atolli di argomenti affini, a cui i libri aderiranno come conchiglie alla roccia». Questo suggerimento mi sembra prezioso e utile anche quando si parla di fumetti: perché accanto ai sei tomi di Akira di Katsuhiro Ōtomo non dovrei mettere ad esempio il Concrete di Paul Chadwick o il Sabre di Yslaire? Perché non dovrei rompere la monotonia dell’atollo cinese e mettere accanto al San Mao di Zhang Leping un’opera come Carlo the Dog di A.B.Frost? O accanto al rigore di Travel di Yuichi Yokoyama la dissolutezza porno-punk di Takashi Nemoto?

Perché le biografie a fumetti su David Bowie non possono essere accostate a V per Vendetta di Moore e Lloyd in un ideale trait d’union che passa attraverso Orwell e Diamond Dogs? Perché la massa nera del Perramus di Sasturain e Breccia si lega così bene ai volumi di Druillet? Perché ho messo accanto a un’opera stupenda come Bellezza di Kerascoët e Hubert un libro insapore come Fregoli di Davide Toffolo? Non ci sono motivazioni plausibili e spiegazioni sempre logiche, ma senza ombra di dubbio una sistemazione del genere permette esplorazioni avventurose e sempre nuove suggestioni teoriche e narrative. 

Ma i buoni vicini – come ricorda sempre Calasso – non si trovano accanto per motivi di affinità. Talvolta, il criterio è più semplice: sono stati espulsi da ogni altro luogo. È il caso dei libri fuori misura, che gli scaffali normali non riescano ad ospitare. Un certo tipo di lettore di fumetti si discosta da quello classico abituato alla ripetizione dei bonellidi o alle produzioni orientali che chiedono rigore cronologico ed editoriale. 

Spesso, i lettori più smaliziati si imbattono in volumi enormi, sontuosi e impreziositi da soluzioni cartografiche sorprendenti. È il caso di alcune meritevoli storie pubblicate da Marvel Comics in formati europei – penso a “graphic novel” come Daredevil: Amore e guerra di Frank Miller e Bill Sienkiewicz o Elektra vive ancora dello stesso Miller – o a opere sofisticate come Quimby the Mouse di Chris Ware, che nonostante il formato importante mette a dura prova gli ipovedenti. 

Ma ci sono anche autori come Art Spiegelman che hanno fatto del fuori misura uno standard: basti pensare alla raccolta dei suoi lavori giovanili, Breakdowns – che consiglio vivamente di recuperare – o In the Shadows of No Towers, dedicato alla strage dell’11 settembre. È proprio Spiegelman con questi lavori fuori misura a farci capire che in realtà il fumetto non aveva alcuna cittadinanza all’interno delle librerie e delle biblioteche. Il fumetto era un bastardo, figlio illegittimo dell’illustrazione, della satira e della letteratura di genere. Spesso stampato su carta porosa e destinata a marcire. 

La passione dell’autore di Maus per i formati meno nobili come i Tijuana Bibles o le sunday page delle strisce sindacate gli hanno permesso di confrontarsi con il medium in maniera viscerale, frontale e innovativa. Soprattutto l’amore per la fase aurorale del fumetto – per intenderci quella del primo trentennio del Ventesimo secolo – l’ha portato a esplorare soluzioni non a portata di mano, soprattutto nell’epoca del comic book e del tascabile a tutti i costi.

Ma Spiegelman – così come Chris Ware, Daniel Clowes, Seth eccetera – non esisterebbe, se prima di lui un accumulatore seriale come Bill Blackbeard non avesse salvato dall’oblio e dalla disfacimento tonnellate e tonnellate di carta. Nella sua villetta vittoriana fondò e diresse per anni la San Francisco Academy of Comic Art, un’associazione no-profit il cui scopo era raccogliere, conservare e preservare tutto quello che concerne il fumetto americano, ritenuto dal collezionista e curatore come una delle più autentiche espressioni del genio americano. 

In un periodo in cui le istituzione erano poco interessate al fumetto, Blackbeard con perseveranza e ostinazione raccolse tutto quello che poteva, catalogando e occupando ogni angolo della sua casa (tranne nel bagno, dove l’umidità e l’acqua avrebbero potuto compromettere la tenuta delle fragili pagine domenicali ritagliate e conservate in ampi e scomodi faldoni). 

Blackbeard riuscì così a mettere insieme materiale che copriva quasi un secolo di storia del fumetto e, soprattutto, di storia americana. Grazie al suo impegno è stato possibile editare oltre 200 opere, tra cui le ristampe integrali di un classico come Krazy Kat di George Herriman o Captain Easy di Roy Crane. Art Spiegelman l’ha omaggiato in Le Musée privé d’Art Spiegelman ritraendolo vestito come un novello Yellow Kid mentre impugna nella mano un paio di forbici e sotto il braccio ha la sua imponente e seminale Smithsonian Collection of Newspaper Comics, curata nel 1977.

Vent’anni dopo, nel 1997, Bill cedette la sua collezione alla Billy Ireland Cartoon Library and Museum dell’Università dell’Ohio: all’epoca la raccolta consisteva di 2,5 milioni di ritagli, per un peso complessivo di 75 tonnellate. Warburg e Blackbeard sono stati accumulatori seriali diversi: il primo deciso a mappare lo spirito umano attraverso un sistema di allusioni e assonanze, l’altro monomaniacale e scrupoloso, entrambi vivamente ostinati, ma lucidi nella loro ossessione patologica verso la carta. 

Nel nostro piccolo possiamo ordinare creando isole di senso o cataloghi rigorosi, scegliendo criteri e dopo un po’ per gioco o per sana pazzia mandarli a puttane e riprendere a sistemare e impilare volumi, cercando di capire dove piazzare gli esclusi: libri e fumetti che vivono ai margini per la loro deformità, per la loro inutilità e per la loro intrinseca bellezza. L’importante è circondarsi di carta, erigere un castello friabile ma solidissimo in cui trascorrere ore piacevoli dimentichi che quella carta un giorno non ci apparterrà più.

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